L’anti-priming: perché i tentativi di manipolarti online stanno fallendo miseramente

anti-priming

Ieri sera mi sono ritrovato con fragole e panna nel carrello della spesa. Non è stato un caso: chi ha studiato il layout del supermercato aveva posizionato strategicamente le fragole all’ingresso e, poco più avanti, una promozione sulla panna montata.

Un classico esempio di “priming” – l’esposizione a uno stimolo (le fragole) che predispone la mente a rispondere in modo specifico a stimoli successivi (la panna).

Ebbene sì, pur essendo un esperto di neuromarketing, ho comunque ceduto a questo meccanismo. Ne ero perfettamente consapevole mentre mettevo la panna nel carrello, ma non mi sono opposto.

Perché?

Probabilmente perché sono stato influenzato dal framing persuasivo.

Ma allo stesso tempo anche perché adoro terribilmente la panna montata.

Mi collego a questo piccolo episodio quotidiano perché voglio farti riflettere sul confine sottile tra il controllo consapevole e i processi automatici del nostro cervello.

Quanto siamo davvero padroni delle nostre decisioni d’acquisto? La risposta non è semplice come vorrebbero farci credere.

Nel mondo del marketing digitale circola una visione che, nella mia esperienza di ottimizzazione di e-commerce, si è rivelata profondamente fuorviante: l’idea che la mente inconscia sia una forza oscura che agisce contro il nostro giudizio cosciente, rendendoci vulnerabili alla manipolazione.

La realtà neurobiologica è ben diversa. Daniel Kahneman, nel suo illuminante “Thinking Fast and Slow”, descrive la mente cosciente (Sistema 2) principalmente come un controllore dei processi inconsci di cui non siamo consapevoli (Sistema 1).

In altre parole, la mente cosciente può in qualsiasi momento sovrastare la mente inconscia, mentre il contrario non è possibile.

Quando analizzo i dati di conversione dei miei clienti, questo diventa evidente: i consumatori non sono automi programmabili, ma esseri complessi con capacità di resistere agli stimoli di marketing quando lo desiderano.

Il problema non è che manchiamo della capacità di contrastare gli impulsi inconsci, ma che spesso scegliamo di non farlo perché i nostri cervelli sono “avari cognitivi” che preferiscono evitare lo sforzo mentale quando possibile.

La complessità del priming che i marketer tendono a semplificare

Il “priming” – l’esposizione a uno stimolo che influenza la risposta a stimoli successivi – è spesso presentato dai guru del marketing come una sorta di bacchetta magica. Ma la letteratura scientifica racconta una storia più complessa.

Nel mondo reale dell’e-commerce, siamo bombardati da migliaia di stimoli concorrenti in ogni momento. Ma i nostri meccanismi cerebrali hanno sviluppato difese inconsce contro il priming che raramente vengono menzionate nei webinar di marketing:

  • Dobbiamo desiderare lo stato suggerito (stimolare il consumo di bevande non funziona se non si ha sete)
  • Dobbiamo avere già una predisposizione positiva verso lo stato suggerito (se non ti piace il caffè, non posso indurti a berlo)
  • Dobbiamo essere inconsapevoli dell’intento di condizionamento (se so che stai cercando di influenzarmi, l’effetto svanisce)

    Questi tre fattori limitano enormemente l’efficacia del priming nel marketing digitale, molto più di quanto i venditori di corsi sul neuromarketing vogliano ammettere.

    L’anti-priming: quando la persuasione si ritorce contro

    Un aspetto ancora più interessante emerge da uno studio di Laran, Dalton e Andrade pubblicato sul Journal of Consumer Research. La ricerca ha dimostrato che tra i nostri processi inconsci esistono meccanismi automatici di difesa contro i tentativi di persuasione, che possono persino causare un “priming inverso” quando la nostra mente inconscia percepisce che siamo soggetti a tattiche persuasive evidenti.

    Ho riscontrato questo fenomeno ripetutamente nei test A/B. Gli slogan di marketing troppo aggressivi o palesemente manipolativi spesso producono l’effetto opposto a quello desiderato.

    I visitatori di un e-commerce non sono ingenui come molti marketer presumono: il loro cervello sta costantemente valutando la sincerità e l’autenticità di ciò che percepisce.

    La mente inconscia come sistema di guida comportamentale

    La visione moderna della psicologia non considera i processi inconsci come competitori della coscienza, ma come un “sistema di guida comportamentale” che alleggerisce il carico della mente cosciente, liberandola per fare ciò che fa meglio: riflettere sul passato, imparare dalle esperienze e pianificare per il futuro.

    Quando ottimizziamo l’esperienza utente di un e-commerce, dobbiamo tenere conto di questa dinamica. L’acquisto di dentifricio è spesso un’azione abituale che non richiede un profondo pensiero cosciente. Ma questo non significa che il consumatore sia manipolabile a piacimento – significa solo che ha scelto di affidare questa decisione a processi mentali più efficienti.

    Nel frattempo, i processi inconsci stanno strutturando le nostre percezioni, emozioni, motivazioni e valutazioni mentre navighiamo la nostra vita momento per momento. E questa architettura mentale funziona sorprendentemente bene nella maggior parte dei casi.

    Questa è l’essenza dell’economia di mercato: accettiamo che le aziende cerchino di influenzarci e, in cambio, otteniamo più varietà, più scelta, prezzi competitivi e così via.

    Il neuromarketing non aggiunge nulla di nuovo a questo accordo tacito. Semplicemente espone più chiaramente i meccanismi in gioco.

    Non cerca di cambiare le menti – questo è ciò che fa il marketing. Il neuromarketing è solo un insieme di tecniche relativamente nuove che ci permettono di vedere più chiaramente se e quanto bene funziona il marketing.

    La mia convinzione personale, basata su anni di esperienza nel settore, è che più impariamo sulle complessità del cervello umano, più difficili appaiono il marketing e l’influenza.

    I nostri processi mentali inconsci non si sono evoluti per renderci più facili da ingannare, ma per renderci più intelligenti ed efficienti.

    I marketer dovrebbero vedere la scienza del cervello non come una bacchetta magica, ma come un avvertimento che molto di ciò che hanno fatto finora è inefficace, se non addirittura controproducente.

    Quando analizziamo i dati di conversione e il comportamento degli utenti sui siti e-commerce, questo diventa evidente. Le strategie più efficaci non sono quelle che cercano di “hackerare” il cervello del consumatore, ma quelle che si allineano con i suoi processi decisionali naturali, riducendo l’attrito e aumentando la fiducia.

    Verso un neuromarketing etico

    Il dibattito sull’etica del neuromarketing continuerà a intensificarsi man mano che le tecniche diventano più sofisticate. Ma è importante mantenere una prospettiva equilibrata.

    Il neuromarketing non è né una pericolosa tecnica di controllo mentale né una semplice estensione innocua del marketing tradizionale. È uno strumento potente che richiede un approccio responsabile.

    Come professionisti del marketing digitale, abbiamo la responsabilità di utilizzare queste conoscenze per creare esperienze migliori, non per sfruttare vulnerabilità. Il vero valore del neuromarketing non sta nella manipolazione, ma nella comprensione più profonda di come le persone prendono decisioni nel contesto digitale.

    E tu, come consumatore digitale, hai più potere di quanto pensi. La consapevolezza dei meccanismi psicologici in gioco è la tua migliore difesa. Non sei una marionetta i cui fili possono essere tirati a piacimento, ma un essere con capacità cognitive sofisticate e meccanismi di difesa inconsci evoluti in milioni di anni.

    La prossima volta che ti troverai davanti a una landing page progettata per stimolare una risposta emotiva, ricorda: la scelta finale è sempre tua. E questo è ciò che rende il marketing digitale non solo una scienza, ma anche un’arte – l’arte di persuadere, non di manipolare, persone libere di scegliere.

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